Condividiamo l'analisi puntualissima del geologo emiliano Giulio Torri.
Ogni volta è la stessa storia, alluvione: non hanno pulito i fiumi. Ma davvero le cose stanno così? Questo concetto precotto, che ogni volta viene ripetuto fino allo sfinimento, trae la sua origine in una distorsione storica, ovvero che “una volta” si facesse manutenzione. In realtà non è così, ma molto semplicemente “una volta” i fiumi godevano di maggior rispetto da parte dell’uomo, come il territorio ad essi circostante.
Dal secondo dopoguerra in poi, i fiumi sono stati visti come cave a cielo aperto per inerti, sabbie e ghiaie, e aree di scolo in cui far transitare il più velocemente possibile le acque dai rilievi al mare. Fine. Questo ha fatto sì che, soprattutto relativo alle gigantesche estrazioni di sedimenti in alveo, i fiumi iniziassero un processo di incisione dell’alveo, attraverso il fenomeno di erosione che si manifesta sia in maniera regressiva, ovvero a monte di dove io ho estratto i sedimenti, che progressiva, a valle del punto di estrazione. I fiumi sono andati incontro quindi a un processo di canalizzazione innaturale che ha portato numerosissimi problemi con sé, tra cui: aumento della velocità della corrente, aumento dell’incisione, minor espansione e, soprattutto, minor ricarica delle falde acquifere. Eh sì, signori, perché le falde acquifere più ricche nel sottosuolo sono rappresentate dalle conoidi alluvionali dei fiumi le quali si alimentano attraverso il contatto idraulico diretto con il fiume sovrastante. Se noi trasformiamo il fiume in un canale che cerca la massima velocità, la ricarica del sottosuolo per infiltrazione è ridotta al minimo. Avrete capito che questa problematica è strettamente correlata con le problematiche di siccità degli ultimi anni.
I fiumi di pianura. I nostri fiumi sono notoriamente detti pensili, in quanto l’alveo del fiume è in quota più alto delle campagne circostanti. L’uomo per difendersi ha iniziato a costruire argini, iniziando una lotta infinita, ovvero si alza il fiume ed io alzo l’argine. Gli argini sono manufatti vecchi che soffrono per tanti fattori: qualità ed epoca costruttiva, lunghi periodi siccitosi, manutenzione, tane di animali… Quasi mai però leggo, o sento, qualcuno che si soffermi sul parametro più importante: la sezione idraulica. I fiumi/torrenti che vanno dal Savena al Lamone, per intenderci, sono ridotti a canali sopraelevati in pianura estremamente stretti, e questa è un'eredità pesantissima che ci portiamo dal passato. Su questi argini è necessaria si la manutenzione, in quanto questi abbiamo e al momento come difesa passiva abbiamo loro.
Abbiamo però soprattutto sezioni idrauliche ridotte all’osso, argini enormi costruiti in più riprese, e al piede dell’argine manufatti come case ed aree industriali. Se avviene una piena devo quindi pensare in primis alla pulizia? Eh, direi di no in quanto come ha mostrato il Lamone, il quale ha mostrato un didattico episodio di sormonto arginale (l’acqua ha traboccato dall’alto) le sezioni di questi “fiumi” non sono in grado di fare defluire forti colmi di piena.
La pulizia risolve tutto? Bisogna definire cosa si intende per pulizia: l’unica pulizia fluviale che ha senso è la rimozione del legname secco in quanto quello viene subito preso in carico dalle piene e potrebbe creare sbarramenti in sezioni critiche come, ad esempio, ostruire la luce di un ponte. Il resto, sono leggende metropolitane. Gli alberi “vivi” rappresentano una difesa idraulica passiva, in quanto sono in grado di far rallentare la corrente idraulica. Pensate che dove non ci sono, vengono impiantate delle opere di ingegneria con la stessa funzione degli alberi, detti pennelli. Il cavare sedimento “a mo’ di pulizia” è quanto di più sciocco si possa fare, come dimostrato sopra: aumento velocità, erosione e il sano trasporto solido dei fiumi. Sì, sano, perché i fiumi portano a mare quel sedimento fondamentale per il mantenimento dei nostri litorali: i fiumi portano sedimento, le correnti marine lo distribuiscono lungo costa e così si sono sempre mantenute le nostre coste. Almeno fino a 70 anni fa, perché poi le pesanti estrazioni di sedimento in alveo hanno rotto questo equilibrio dei fiumi, e infatti noi emiliano-romagnoli paghiamo una ditta tedesca che, ogni anno, draga la sabbia a 40-60 m dalle coste dell’Adriatico per fare il ripascimento delle nostre spiagge. Geniale no? Ma l’abbiamo cercata noi.
Le sezioni dei fiumi, quindi, appaiono sempre più insufficienti, in primis perché noi le abbiamo ristrette all’osso, ed in seconda battuta perché il territorio, fortemente cementato e antropizzato è andato incontro all’impermeabilizzazione. Questa strana parola racchiude in realtà uno degli aspetti più critici. Se io ho, ad esempio, un’area di 1 km quadrato a terreno naturale, questa assorbirà le precipitazioni in funzione ovviamente delle litologie di cui è composta, ovvero terreni più permeabili e terreni meno permeabili. Se di quel km quadrato metà lo perdo perché ho cementato, asfaltato, rendendo di fatto impermeabile metà della mia area pilota, dove andrà l’acqua che piove? Non verrà mai assorbita e finirà velocemente nelle reti scolanti, quindi nei canali ed infine nei fiumi. Su quei fiumi che già li abbiamo ristretti e poi caliamo giù l’asso come surplus idrico da gestire.
Quindi quando sentite dire da qualcuno “bisognerebbe dare spazio, o meglio, ridare lo spazio che abbiamo tolto ai fiumi e qualcosina di più ..” non è un pazzo, non è un “verde”, non è un “ambientalista”.
E’ uno che ha capito come funzionano i fiumi. La pulizia radicale non risolve uno stupro al territorio che si è perpetrato per 60 anni.
Foto allegata: da un mio progetto di lavoro comparazione Torrente Enza 1958 (foto aerea IGM - sinistra) e 2022 (immagine satellitare - destra), zona Montecchio Emilia (RE).
P.S. il Torrente Enza, per i motivi sopra descritti, si è autoinciso di oltre 11 metri.
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