Durante i tragici fenomeni delle alluvioni si cerca sempre un capro espiatorio su cui riversare le colpe, che spesso vengono fatte ricadere su piante e animali. Diversi sindaci, di conseguenza, annunciano ulteriori sfalci lungo i fiumi e chiusura delle tane degli animali come mezzo di prevenzione delle alluvioni. Ma davvero dobbiamo eliminare ogni forma di vita animale e vegetale che popola i fiumi per ridurre il rischio di nuove esondazioni?
“Le esondazioni sono in natura qualcosa di funzionale e benefico. Quando la piena finisce, l’acqua rapidamente si ritira, portando sostanza vitale alla terra (il famoso limo)" spiega Daniele Zavalloni, segretario del Fondo Biodiversità e Foreste. "Noi però abbiamo creato le città intorno ai fiumi, abbiamo creato argini sempre più alti, costringendo i fiumi lì dentro. Per assurdo sono proprio gli argini sempre più alti a non permettere il deflusso veloce dell’acqua, ma lo stazionamento in quartieri cementificati, che vengono allagati per giorni, con le fognature che si intasano per il troppo fango e non sanno come scolarlo. Il vero problema quindi è prima; prima che il fiume si ingrossi e scavalchi gli argini. Perché finisce tutta questa acqua dentro ai fiumi fino a farli arrivare a 11 metri? I cambiamenti climatici sono un motivo, l’altro problema è che la terra assorbe sempre meno acqua, perché cementificata o sfruttata dall’agricoltura intensiva. Il vero problema è che si tagliano troppi alberi, sia in pianura sia in collina”.
Quindi cosa fare per ridurre il rischio, che non è mai rischio zero?
“Si possono pulire gli argini in maniera non invasiva, togliere i legni morti, gli alberi secchi, i tronchi di traverso sull’alveo, con un lavoro costante fatto anche da squadre di volontari. Le amministrazioni però preferiscono affidare il taglio a raso una volta ogni tot anni, ad aziende e cooperative che poi vendono il legno alle centrali a biomassa. Dopo il taglio a raso, si lascia nell’incuria totale negli anni successivi, fino ad un nuovo taglio drastico”.
In tutta Italia, infatti, si vedono interventi di rasatura a zero di tutta la vegetazione. Alberi di ogni dimensione distrutti. Cosa succede ai fiumi, impoveriti della loro struttura portante e consolidante, oltre a tanta biodiversità?
“Gli alberi che crescono sulle aree golenali o sugli argini sono benefici, soprattutto quelli grandi che sostengono gli argini con le radici e rallentano la corsa dell’acqua. Dobbiamo capire che un fiume in piena lanciato a tutta velocità senza nulla che lo freni o filtri è estremamente pericoloso, come lanciare un’auto a folle velocità in una strada con curve. È ovvio che prima o poi sbanda e finisce fuori”.
Le casse di espansione in questo senso sono fondamentali per permettere esondazioni controllate e ridurre la pressione sugli argini. Ma secondo Zavalloni servirebbe qualcos’altro ancora: “Una fascia boscata perifluviale, 100 metri a destra e a sinistra dal fiume. Se pensiamo che un km di autostrada costa da 32-62 milioni di euro, con molti meno soldi potremmo creare una fascia boscata a destra e a sinistra dei fiumi, che accolga le piene e funga da corridoio ecologico. Non servirebbe neppure espropriare perché resterebbero zone di proprietà dei frontisti, attrarrebbero turismo ecc. Un progetto che propongo da anni a ogni amministrazione ma nessun politico lo accoglie, purtroppo nei politici manca lungimiranza”.
Eppure, anziché creare fasce boscate intorno al fiume, si continua a costruire case, villette e nuovi capannoni, contribuendo a impermeabilizzare il terreno. Il Veneto è la seconda regione in Italia per cementificazione e in tutta Italia vengono cementificati 19 ettari al giorno, anche in zone sottratte ai corsi d'acqua. L'ISPRA conferma: tra il 2006 e il 2021 l'Italia ha perso 1.153 km² di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km² all’anno a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno.
Ma se le case non sono adatte a stare vicino ai fiumi, la vegetazione ripariale è invece perfettamente funzionale all’ecosistema fiume.
“Pioppi e salici hanno apparati radicali che possono stare in immersione per lunghi periodi nell’acqua, senza che le radici marciscano“ spiega Giovanni Damiani, biologo, presidente di G.U.F.I. (Gruppo Unitario per la difesa delle Foreste Italiane. “Questo tipo di vegetazione riesce a sopportare le piene dei fiumi, grazie alla flessibilità estrema dei rami e dei tronchi, alla loro resistenza eccezionale alla trazione, con apparati radicali assai sviluppati, nonché con diverse ed efficienti modalità di riproduzione e ad accrescimento rapidissimo."
Questa vegetazione (unitamente a quella erbacea come Fragmites, Tipha, Carex, Scirpus), svolge diverse funzioni essenziali:
La vegetazione consolida le sponde contrastandone l’erosione e il franamento.
Con la sua “rugosità”, unitamente alla vegetazione erbacea e ai salici arbustivi, frena l’impeto della corrente, trattiene più a lungo l’acqua sul territorio mitigando le piene e distribuendo lentamente le acque nel territorio. Velocizzare le acque perché non esondino localmente non fa altro che aggravare il rischio idraulico più a valle.
Il permanere dell’acqua sul territorio ne favorisce l’infiltrazione laterale e quindi la ricarica della falda mentre attua la regimazione naturale.
La vegetazione permette la vita di insetti come le libellule, le effimere e svariate famiglie di ditteri, ma anche vertebrati come tutti gli anfibi, molti rettili, etc. Infine le fasce ripariali costituiscono i principali habitat di rifugio per la fauna e fungono da “corridoi ecologici” per i mammiferi e l’avifauna migratrice, la quale memorizza, per orientarsi, le linee dei corsi d’acqua come riferimenti geografici.
Aumenta l’efficienza dell’autodepurazione biologica tipica delle acque correnti (la cosiddetta fitodepurazione ndr). Un fiume che ha la sua vegetazione integra, presenta generalmente acque limpide. La vegetazione ripariale trappola inoltre i nutrienti il cui eccesso è assai nocivo per le acque, come quelli azotati.
Le foglie che cadono, colonizzate al loro interno da microfunghi, sono una dieta ottimale per la copiosa comunità degli organismi invertebrati acquatici detritivori che sono a loro volta alla base, ad esempio, dell’alimentazione dei pesci, del merlo acquaiolo, dell’avifauna limicola, degli anfibi.
La vegetazione protegge l’acqua dal riscaldamento favorendovi un adeguato tenore di ossigeno, necessario per la vita che ospita.
Tagliando tutta la vegetazione avremo come risultato un fiume morto, inquinato, surriscaldato e privo di vita, che non sarà esente da frane e esondazioni, alle quali si alterneranno momenti di grave siccità perché le falde non riusciranno a ricaricarsi.
“Inoltre è proprio negli argini privi di vegetazione che le tane scavate dagli animali scavatori possono creare instabilità e smottamenti“ spiega Leonardo Marotta, professore di “Sistemi Ambientali e Biomimetica” all’Università di Venezia, dottore in scienze ambientali, che da anni si occupa di gestione del territorio, dei fiumi e delle coste. "Dove si lascia un’adeguata copertura forestale e arborea, le tane degli animali sono un valore aggiunto e non pregiudicano la stabilità degli argini. Questi animali aiutano anzi a ripulire dalla vegetazione in eccesso, creando un equilibrio, favoriscono la creazione di piccoli stagni utilissimi per la biodiversità fluviale, aree di deposizione uova dei pesci e delle rane, che a loro volta predano le zanzare. Se alteriamo questo fragile ecosistema, poi rischiamo di non risolvere alcun problema ma di crearne altri. Le amministrazioni devono prendere una decisione: se vogliono argini di terra privi di alberi e animali, allora tanto vale gabbionarli con cemento. Ma è davvero questo quello che vogliamo? Ricordiamoci che le enormi quantità di acqua cadute e l’incapacità della terra di assorbirle sono causate proprio dalla grave mancanza di alberi, e dall’eccesso di cemento. L’unico organismo problematico che altera ogni ecosistema mi pare quindi che sia solo l’uomo”.
Per approfondire:
https://www.gufitalia.it/vegetazione-ripariale/ (articolo di Giovanni Damiani pubblicato anche in Simbiosi, volume 2)
Testo di Linda Maggiori
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